La guerra privata di Samuele by La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigata

La guerra privata di Samuele by La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigata

autore:La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigata
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2022-10-31T00:00:00+00:00


La guerra privata di Samuele,

detto Leli

Uno

È difficili assà che un omo che ha fatto le scoli fino al liceo si possa scordari dei nomi dei sò compagni di classe pirchì ogni matina il profissori, arripitenno la litania dell’appello, quei nomi te li stampava a forza nel ciriveddro.

Alla prima ginnasio, i mè compagni si chiamavano, seguenno il rigoroso ordini alfabetico del registro, Ajaimo, Burgio, Butticè, Camilleri, Carmina, Costanza, Crispino, D’Amico, Di Porto... Mi fermo ccà, non per faglianza di memoria, ma pirchì mettiri in fila trentadù cognomi, ché tanti eravamo, alla fini stuffa.

Ora si usa che ai compagni ci si arrivolge chiamannoli per nome, ma allura, nel 1937, nni viniva naturali usari sulo il cognome. Il nomi, Michè, Filì, Giurlà, Totò, viniva adoperato tra amici stritti. Io, tempo tri misi, addivintai amico stritto di Di Porto epperciò passammo dal cognomi al nomi: lui mi chiamava Nenè e io lo chiamavo Leli, che era il diminutivo di Samuele.

Naturalmenti, fino dai primi jorni, vinimmo a sapiri i mistieri dei nostri patri, c’era chi era figlio di dottori, di giometra, di avvocato e c’era chi era figlio del capostazioni, com’era il caso di Leli, o figlio del direttori del Demanio, com’era il caso mè.

I figli dell’operai, dei piscatori, dei muratura, dei viddrani l’avivamo lassati alla quinta limentari, difficili che a quei tempi prosecutavano lo studdio.

Come fu che io e Leli addivintammo amici?

La facenna principiò verso la mità del secunno misi di scola, quanno alla prima ora s’apprisintò il novo profissori di religioni, don Angilo Ramazzo, che aveva sostituito a quello vecchio annato in pinsioni.

Don Ramazzo era sì un parrino, ma pariva un armuàr, tanto era àvuto e grosso. Aviva ’na testa enormi con dù occhi a palla pricisi ’ntifichi a fanali d’automobili. La tonaca era tutta macchiata di lordie varie, dal suco di pasta al giallo d’ovo. Supra al petto portava uno sparluccicante distintivo del fascio.

Appena che trasì ’n classi, tutti nni susemmo addritta sull’attenti, come si usava. Lui ci taliò a longo fermo sulla porta, con una torva spressioni come se l’avivano pigliato a male paroli, po’ fici il saluto romano, si annò ad assittare ’n cattidra, raprì il registro e accomenzò l’appello. La regola era che chi viniva chiamato, si doviva susiri, dire «presente!» e assittarisi.

Tutto filò fino a quanno arrivò a Di Porto.

«Di Porto Samuele».

«Presente!».

E Leli fici per assittarisi.

«No, resta in piedi».

Si misi fisso a taliarlo. Po’ spiò:

«Tu sei ebreo?».

Leli, che non s’aspittava la dimanna, ’ngiarmò.

«Beh? Rispondi! Sei ebreo o no?»

«Non... non lo so».

«Che significa non lo so? Vuoi fare lo spiritoso?».

«No».

«Va bene, siediti, del tuo caso ne parlerò col preside. Ma tu intanto informati con tuo padre se sei ebreo o no. Sono certo che ti dirà di sì. Del resto, basta guardarti in faccia».

Tri jorni appresso don Ramazzo, rifacenno l’appello, arrivò ancora a Di Porto.

«Presente!».

E Leli accennò a riassittarisi.

«Fermo! Ti siedi quando te lo dico io».

Il parrino continuò l’appello. Chiamò l’ultimo cognomi, che era Zuccato, lassanno sempri addritta a Leli. Sulo allura tornò a rivolgergli la parola:

«Ti sei informato con tuo padre?».



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